Firenze, il greto tra Ponte alla Carraia e la pescaia di Santa Rosa
Potrebbe sembrare uno scorcio di un fiume qualsiasi o addirittura la battigia di un mare con le piccole onde in un giorno di bonaccia invece è l'Arno con la sua fauna aviaria che si riscalda al pallido sole di fine Febbraio. Un fiume che da un lato è vita ma dall'altra parte rappresenta un problema quando si riempie di acqua fino ad esondare. Le alluvioni, un problema da risolvere nei secoli. Leggiamo qui sotto un testo che sembra scritto oggi e non 150 anni fa.
L’ Arno per causa
delle frequenti sue inondazioni ha servito, e servirà di
materia a varie artistiche discussioni. Gli idraulici più sommi
della Toscana, e molti altri stranieri, hanno in vari tempi formati
progetti diversi sul trattamento di questo fiume, ora per una parte,
ora per l’ altra.
Molti sono quelli fatti di pubblico
diritto per liberare la nostra dominante dal disastro delle inondazioni; ma o per la enorme spesa, o per non essere stati creduti
efficaci, restarono nell'abbandono, e se alcuno ne fu principiato,
non sorti il fine.
Dovremo ora noi perseverare a non far
nulla? attenderemo che un'altra piena come quella del 3 novembre
1844 torni a desolare la città nostra? Forse non vi sono modi per
provvedervi ?
Non vi è cosa che dir si possa
impossibile; vi sono delle strade che conducono a tutte le cose; e se
noi avessimo buona ed assoluta volontà, avessimo ancora tutti i
mezzi conducenti e necessari. Ognun sa a quali danni rimane esposta
questa fiorente città ogniqualvolta l’Arno la invade con i suoi
trabocchi: la perdita di merci, cereali, e mobiliare incalcolabile
sempre; le strade, i palazzi, e le case ripieni di sordida melletta;
inabitabili i sotterranei, ed i piani terreni; corrotte le acque dei
pozzi per la miscela con quelle degli smaltitoi, e delle sepolture
eziandio; indebolimento delle fabbriche, e talvolta la minaccia
di rovina, fornite di lunghe e dispendiose liti tra privati; il
commercio ritardato, e compromessa la pubblica salute da epidemiche
infezioni; quindi deteriorazione dei ricchi, povertà dei cittadini,
rovina totale dei poveri, lo scoramento generale.
Ed all'aspetto di si spaventevoli
disastri, seguiteremo a starcene inoperosi? sopporteremo che i nostri
figli, i nostri nepoti maledicano nel rinnuovarsi dell’ infortunio
alla nostra inerzia? Non sarà minore il rammarico di lasciar loro a
dimettere qualche debito, di quello che esporli a deplorare delle
vittime, e soggiacere a danni immensi, a perdite irreparabili?
L’ esperienza ha dimostrato che tali
infortuni avvengono una volta, o due nel corso di un secolo, ma non
sarebbe meglio prevederli, impedirli? Chi ci assicura che a malgrado
dei validi lavori ultimamente fatti, del rialzamento, e ingrossamento
degli argini, e. a dispetto della sorveglianza che si pratica per la
loro conservazione, non siano per rinnuovarsi? La natura é la
stessa, mentre noi abbiamo all'opposto ragioni potentissime per
indurci a temerla di più, poiché di fronte alle condizioni
materiali dell’ Arno, che sono presso che le medesime dei tempi
andati, le cause delle inondazioni crescono sempre per lo sfrenato
diboscamento dei monti, per il dissodamento delle valli, per la
trascurata formazione di serre nei seni montani, e per il conseguente
inevitabile rialzamento degli alvei nei fiumi, che comunque voglia
impugnarsi anche da soggetti versatissimi nell'arte idrometrica, pure
é un fatto che si verifica progressivo e minacciante pericolo, come
in futuro si avrà luogo di meglio conoscere sulla livellazione che
con saggio provvedimento é stata fatta di tutto il corso dell’Arno, ad insinuazione dell'onorevole idraulico del nostro tempo
Commendatore Alessandro Manetti.
Molto vi sarebbe a dire su questo
argomento, im prendendo a ragionare dell’Arno dalla sua sorgente,
fino al mare; ma essendone stato lungamente trattato da celebri
uomini, come Viviani, Perelli, Manfredi, Grandi, Castelli,
Guglielmini, Mayer, Ximenes, Morozzi, e vari altri, limiterò le mie
riflessioni su quel tratto che Firenze traversa, e dividerò in due
articoli questa mia memoria.
Avrà per oggetto il primo di provare
l’alzamento del letto del fiume, e di enumerarne le cause.
Comprenderà il secondo i mezzi atti a
provvedere alla sua depressione, ed allontanare per sempre isuoi
trabocchi in città, ed all’ incanalamento delle acque putride e
pluviali della città medesima.
Ho di sopra accennato che una delle
cause che produce le alluvioni in Firenze, è il rialzamento del l’Arno nel tronco che la traversa. Vorrei che ciò non fosse, vorrei
potere non dividere la mia opinione con quelle dei nostri primi
precettori della scenza idraulica, ma come non trovarsi stretti dalle
ragioni che ne adduce in conferma il celebre Viviani, segnatamente
nel suo discorso al Serenissimo Granduca Cosimo lIl, intorno al
difendersi dai riempimenti e corrosioni dei fiumi, applicate all’Arno
in vicinanza della nostra città?
Come non curare le osservazioni fatte
in proposito da Cornelio Mayer unitamente al Viviani medesimo nella
loro relazione allo stesso Cosimo lIl, data dell’anno 1680? Quelle
pure dell’ architetto Buontalenti confermate dal Padre Grandi nella
sua relazione de’ 30 settembre 1735? Quelle del matematico Perelli
nel suo discorso ai Deputati dell’Arno in occasione della visita
eseguita in quel fiume nel 1740, e di molti altri versatissimi
nella scenza delle acque, che parmi superfluo ricordare?
Non mi permetterò asserire che l’alveo dell’Arno entro Firenze siasi notabilmente elevato di letto
quando è compreso tra due confini che sono le pescaje di S. Niccolò,
e quella d’ Ognissanti; ma se vero sia che la cresta, o capezzata
di quest’ ultima che nel 1803 fu tentato rialzare, sia stata
effettivamente rialzata da circa tre quarti di braccio negli anni
1848, e 1849, sopra un progetto dell’ architetto Cacialli, altronde
va lentissimo, come ne fanno fede un biglietto della R.
Segreteria di Finanze al Soprintendente
Generale delle RR. Possessioni de’ 40 luglio 1848, ed il successivo
Rescritto de’ 30 luglio 1849, esistenti in filza N.° 43 registro
secondo del 1849, e 1820, nell’ Archivio della soppressa Camera di
Soprintendenza Compnitativa di questo Compartimento, credo mi sarà
concesso osser vare e rimarcare, che l’ alveo dell’Arno entro
città ha subito delle notabili, e visibili alterazioni.
Per non citare quelle che cadono sotto
i sensi di tutti, e che sono specialmente i polmoni o greti, fatti
più estesi ed alti fra la pescaja di S. Niccolò ed il Ponte alleGrazie, fra questo ed il Ponte Vecchio, ed i banchi di arena e
ghiara, che in tempo di acque magre vengono a scuoprirsi tra il Pontealla Carraja e la pescaja d’ Ognissanti, che qualche anno indietro
non si scorgevano fuori d’ acqua, mi fermerà su quella striscia di
restone, o ridosso, che incominciando dall’angolo che fa il
muraglione alla cateratta dei Castellani, si estende fino al Ponte
Vecchio, e al disotto ancora di esso.
Quando nel 1849 fu rifondato, e rifatto
il terrazzino in testa degli Uffizi sull'Arno, il greto che ora vi
si scorge era due braccia circa più basso. Poco inferiormente a
quello allorché nel 1794, o 1795, salvo, vennero restaurate le prime
mensole che sostengono a collo le fabbriche lungo la via degliArchibusieri, dal punto d’ appoggio di esse al greto, non si
contavano meno di braccia quattro e mezzo, ed oggi non vi si conta
una distanza maggiore di B.a 1 1/2 , o poco più.
Queste innormalità di superfice sembra
strano che si verifichino tra una pescaja e l’altra, dove
ragionevolmente, e per regola idrometrica formare si dovrebbe un
piano ordinatamente inclinato, ma nel caso nostro la corrente
spingendosi più, o meno impetuosa ora a destra, ora a sinistra, ed
incontrando degli angoli sporgenti e rientranti, oltre gli ostacoli
dei ponti, é possibile che nelle piene, più, o meno forti che
durano assai, o che vengono per piogge universali e continue, si
faccia talvolta uno sgombro delle deposizioni, e tal volta una
mutazione delle medesime da destra, a sinistra, e viceversa, per modo
da alterare visibilmente lo stato dell’alveo, senza diminuirne la
capacità; ma il greto di cui or faceva parola é stazionario da
qualche anno, e vedesi aumentare, anziché decrescere, a scapito
della caduta delle fogne provenienti dalla città, ed ho motivo di
dubitare che per virtù della corrente venga ad essere depresso,
dopoché da qualche anno a questa parte si vedono trasportate dall’
acqua, e depositate sui nostri greti delle pillore di volume molto
maggiore che non erano quelle trasportatevi prima del 1833, e 1834
circa, e crederei doversi argomentare che più facilmente si trova
oggi esposta e minacciata dalle alluvioni la città nostra, per la
ragione appunto, che molte materie ammassate nel tronco d’ Arno che
la traversa, oltre ad usurpare un ragguardevole spazio alle acque, ne
rallentano la velocità, e crescendo, di volume sono obbligate a
distendersi, a penetrare per le fogne, ed a superarne ancora i
ripari.
Se si instituisce un confronto tra lo
stato attuale dell’ alveo d’ Arno al disotto della pescaja di S.
Niccolò, e quello che era 44, o 45 anni addietro, sarà facile
distinguere quanto maggiore ammasso di materie vi si riscontri al
presente, e quanto vizioso siasi fatto sotto di quella serra il corso
dell’ acqua. Ove prima era un fondo alquanto esteso, oggi vi si
scorge un polmone che immedesimandosi con la platea della pescaja, ne
supera talvolta la cresta con la sua sommità, e gli opifici della
Zecca sono per molto tempo dell’anno inattivi, non solo per causa
della diversione delle acque, dipendente in parte dall’opera
avanzata del già ponte sospeso poco al disopra di essi, ma per la
massa straordinaria altresì delle ghiare che si depositano al
disotto della pescaja, che ne fanno guazzare le ruote di movimento,
per mancanza di cadente. M’ ingannerò, ma credo sarebbe facile
venire in cognizione dei diversi rialzamenti instituendo un confronto
con le sezioni del fiume che furono eseguite dal ponte S. Trinita
fino alla pescaja d’Ognissanti ne’ 34 ottobre 1842, a cura in
quel tempo del Dipartimento di ponti e strade, che si trovano
riferiti alla scala metrica in marmo situata presso il detto ponte,
quali sezioni, che sarebbe utile estendere fino alla pescaja di S.
Niccolò, potrebbero in seguito far conoscere delle variazioni cui
può andar soggetto il greto del nostro fiume.
da: Fiume Arno entro Firenze memoria di
Giuseppe Michelacci - 1864
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