Firenze, via Calimala
Via Calimala si trova a Firenze, tra via Por Santa Maria e piazza della Repubblica. La strada era il tratto sud dell'antico cardo romano e l'origine del suo nome si perde nei primi giorni della città, storpiato nei secoli fino a diventare un enigma per gli etimologi.
“...Dopo tutto questo niun dubbio può cadere che
le Arti presiedenti al lanifìcio fossero quella della Lana della
città di Firenze e quella fai Mercatanti di Calimala;
che la prima avesse la sua residenza nella via che oggi chiamasi
Calimara nella casa canonicale di Orsanmichele, e la seconda
in Calimaruzza, o come allora chiamavasi Calimala
Francesca. Ciò posto è indubitato ancora che la via Francesca
nominata dal Villani corrisponde alla moderna Calimaruzza e
non già alla Calimara propriamente detta (siccome scrissero
diversi autori), e che il traffico dei panni franceschi in
quella e non in questa si andò facendo . Infatti strana cosa
sarebbe stata la Residenza de' panni nostrali o della Lana fosse
laddove si faceva commercio de panni franceschi, e quella de'
panni franceschi nella via che serviva al commercio dei
panni nostrali …. Stabilito per tal modo che la moderna
Calimaruzza e non la
Calimara è la vera Calimala Francesca andiamo
alcun poco ragionando sull'etimologia della voce Calimala.
Vogliono,
come dicemmo, gl'illustratori della città, che la via Calimala
fosse cosi detta dal latina
Callis Malus, per
significare essere questa una mala strada o cattiva, perché
conducente al postribolo. Se ciò sìa verosìmile esaminiamolo...
Il nome dunque di Calimala dovette avere
un'etimologia ben diversa, e se altro forse non volle significare che
luogo ove esercitavasi il lanificio, non è improbabile che da
Calla, cioè valico, passo ec., e da malaugurata
cioè via di frode e malaugurio si dicesse per comodo di
pronunzia Calla-mala e quindi Calimala. Infatti il
Codice Riccardiano di N.° 2427 sembra convalidare questa opinione,
allorchè parlando di essa strada ci dice che un tale che si
doleva d'avere perduto il fiore del suo patrimonio con un mercante di
Calimala chiamolla difficile Calle, lo che, mi sembra,
spiega Via pericolosa e cattiva, siccome quella nella quale
la frode e l' inganno forse più che in ogni altra allignava.
Dimostrato in questo modo, per quanto per me si poteva, che la
moderna Calimara non è la via Francesca nominata dal
Villani, come pensarono gli scrittori che gli succedereno; che non è
né verosimile né giusta la etimologia che vuoi dettarsi del suo
nome dalla parola latina Callis
Malus; e che il commerciò de'
panni franceschi ed oltramontani non in questa, ma nella via
Calimaruzza si faceva; mi piace di por termine al mio lungo e
inadorno ragionamento, con trascrivere il funestissimo incendio che a
questa via di Calimara cagionò un Serissimo ghibellino l'anno 1304,
come trovasi descritto nelle cronache del diligentissimo Villani al
libro VI cap. 71.
Avvenne che un Ser Neri Abati cherico priore di S.
Piero Scheraggio (questa antichissima chiesa fu in parte abbattuta
allorché ne 1298 si fabbrico il Palazzo della Signoria, ed il
rimanente conservato ad uso di chiesa fa incorporato nella fabbrica
de 'RR. Uffizi sotto Cosimo I, e quindi soppressa l'anno 1784.) uomo
mondano e rebello e nemico de'suoi consorti, con fuoco temperato,
prima messe fuoco in casa de' suoi consorti in Orto San Michele, e
poi in Calimala Fiorentina in casa Caponsacchi presso alla bocca
di Mercato Vecchio; e fu si empóto e furioso il maladetto fuoco,
col conforto del vento a tramontana, che traeva forte, che in quel
giorno arse la casa degl'Abati e de' Macci e tutta la Loggia d'Orto
San Michele (Fu edificata sul disegno d'Arnolfo, secondo il Vasari,
per la vendita del grano, poscia ampliata e ridotta a chiesa, nel
modo che vediamo) e casa di Amieri, e Tosinghi e Cipriani, Lamberti,
Bachini, e Bujamonti, e tutta Calimala, e le case de' Cavalcanti, e
tutto Mercato nuovo, e Santa Cecilia e tutta la ruga di porta
santa Maria insino al Ponte Vecchio, e Vacchereccia, e dietro S.
Piero Scheraggio, e casa Guardini, Pulci, e Amidei, e Lucardesi e di
tutte le circostanti, quasi insino ad Arno, e insomma arse tutto il
midollo e tuorlo e cari luoghi della Città, e furono in quantità
tra palazzi torri e case più di 1700; il danno d'arnesi, tesauri, e
mercatanzie fu infinito perchè in que' luoghi era quasi tutta la
mercatanzia e le care cose di Firenze, e quelle che non ardea,
isgombrandosi, era rubate da1 malandrini, onde molte compagnie e
schiatte, e famiglie furono disastre e vennero in povertade per la
detta azione e ruberie ..”
Notizie biografiche originali di Bernardo Cennini, orafo fiorentino - 1839 -Di Federigo Fantozzi
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