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Firenze, Piazza della Signoria
La piazza per eccellenza di Firenze è Piazza della Signoria a cui si accede da molte vie. Questo è lo scorcio che appare provenendo da Via della Ninna o dal cortile degli Uffizi. Nel Seicento si scriveva questo.
Ma il Davitte, che è su la ringhiera, vicino alla porta del palazzo, è di mano di Michelagnolo Buonarroti: questa è quella statua tanto famosa al mondo e nobilissima per l’artifizio tanto è per tutto con gran lode ricordata. Era di età di XXIX anni il Buonarroto, quando fece così raro lavoro e così pregiato....Chi vidde mai posamento di piedi così leggiadro e sì virile? Unione di membra così naturale, fattezze di persona così vere, portamento di vita così eroico, atti di braccia, di mani, di gambe così vivi e volto di costume sì dolce e sì divino? Cedano pure gli artefici antichi a così alto sapere, poiché confessano i moderni e tutti gli uomini intendenti sono d’accordo in un volere, cotanto esser sovrano di questa statua l’artifizio, che né il Nilo di Belvedere, né i Giganti di Monte Cavallo, né altra statua di questo tempo possono a così rara perfezzione e così suprema arrivare.
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Appresso in sul canto del palazzo si veggono le due figure Ercole e Cacco di Baccio Bandinelli
(Firenze, 1488– Firenze, 1560)
, fatte amendue con singulare artifizio. Oltra l’usato si destò questo sovrano artefice per questi due splendori così luminosi e senza perdersi di animo si mise all’opera e col suo molto sapere operò in guisa, che riluce altresì la sua industria e con tutti e due con somma gloria gareggia nobilmente. ... Come si vede il gran coraggio nel volto di Ercole e la fierezza? Come è pronto il corpo in sua attitudine? Come è vivace il sembiante, come il vigore eroico nella testa, nel petto, nelle braccia et in ogni parte chiaramente si conosce? Il Cacco più raro e più maraviglioso sbattuto in terra, pare che dalla natura sia, non da mano di artefice effigiato: così son vive le membra, così naturali, così vere, che temendo del furore di suo nimico e sgomentato per lo suo fallo, mostra con viva movenza di aspettare il gastigo, che per lo furto ha meritato. In queste due statue i più intendenti artefici fanno sovente gran frutto, imitando con sommo studio il profondo disegno e la fierezza dell’arte, che conoscono in ambendue.
Da "Le bellezze della città di Firenze" di Francesco Bocchi, 1677
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