Guardando Firenze nei particolari da dietro l'obiettivo di una fotocamera.

lunedì 17 settembre 2018

Il Perseo del Cellini





Firenze, Piazza della Signoria, Loggia dei Lanzi

"Il nostro duca di Firenze in questo tempo, che eramo del mese d‘ agosto del 1545, essendo [duca, Cosimo I (Firenze, 1519 – 1574), al Poggio a Caiano: descrive a lui e alla duchessa, D. Eleonora di Toledo (Alba de Tormes, 1522 – Pisa, 1562) ] al Poggio a Caiano, luogo dieci miglia discosto di Firenze, io lo andai a trovare, solo per fare il debito mio, per essere anch’io cittadino fiorentino, e pcrchè i mia antichi erano stati molto amici della casa de‘ Medici, ed io più che nessuno di loro amavo questo duca Cosimo. Siccome io dico, andai al detto 
Poggio solo per fargli reverenza, e non mai con nessuna intenzione di fermarmi seco. 
E siccome Dio che fa bene ogni cosa, a lui piacque, che veggendomi il detto duca, dipoi fattomi molte infinite carezze, e lui e la duchessa mi dimandorno delle opere che io avevo fatte al re: alla qual cosa volentieri, e tutte per ordine io raccontati. Udito ch’egli mi ebbe, disse, che tanto aveva inteso, che così era il vero; e da poi aggiunse in atto di compassione, e disse: Oh poco premio a tante belle 
e gran fatiche! Benvenuto mio, se tu mi volessi fare qualche cosa a me, io ti pagherei bene altrimenti, che non ha fatto quel tuo re, di chi per tua buona natura tanto ti lodi.
A questo mi rispose, che arebbe voluto da me, per una prima opera, solo un Perseo: questo era quanto lui aveva di già desiderato un pezzo; e mi pregò, che io gnene facessi un modelletto. Volentieri mi messi a fare il detto modello, ed in brevi settimane finito l’ ebbi della altezza di un braccio in circa: questo era di cera gialla, assai accomodatamente finito; bene era fatto con grandissimo istudio e arte. Venne il duca a Firenze, e innanzi che io gli potessi mostrare questo detto modello, passò parecchi di, che proprio pareva che lui non mi avessi mai veduto né conosciuto, di modo che io feci un mal giudizio de‘ fatti mia con Sua Eccellenza: pur da poi, un di dopo desinare, 
avendolo io condotto in nella sua guardaroba, lo venne a vedere insieme con la duchessa e con pochi altri signori. Subito vedutolo, gli piacque, e lodollo oltramodo; per la qual cosa mi dette un poco di speranza, che lui alquanto se ne intendessi. Da poi che l’ ebbe considerato assai, crescendogli grandemente di piacere, disse queste parole: Se tu conducessi, Benvenuto mio, così in opera grande questo piccol modellino, questa sarebbe la più bella opera di piazza. Allora io dissi: Eccellentissimo 
mio signore, in piazza sono le opere del gran Donatello, e del maraviglioso Michelagnolo, quali sono istati dua li maggior uomini dagli antichi in qua; per tanto Vostra Eccellenza lllustrissima dà un grande animo al mio modello, perché a me basta la vista di far meglio l'opera, che il modello, più di tre volte.
A questo fu non piccola contesa, perché il duca sempre diceva, che se ne intendeva benissimo, e che sapeva appunto quello che si poteva fare: a questo io gli dissi, che le opere mie deciderebbono quella quistione e quel suo dubbio, e che certissimo io atterrei a sua eccellenza molto più di quel che io gli promettevo, e che mi dessi pur le comodità, che io potessi fare tal cosa; perché, sanza quelle comodità, io non gli potrei attenere la gran cosa, che io gli promettevo. A questo Sua Eccellenza mi disse, che io facessi una supplica di quanto io gli domandavo, ed in essa contenessi tutti i mia bisogni, che a quella amplissimamente darebbe ordine. Certamente che se io fussi stato astuto a legare per contratto tutto quello, che io avevo di bisogno in queste tutto quello, che io avevo di bisogno in queste mia opere, io non arei auto i gran travagli, che per mia causa mi son venuti; perché la volontà sua si vedeva grandissima si in voler fare delle opere, e si nel dar buon ordine a esse: però non conoscendo io, che questo signore aveva più modo di mercatante che di duca, liberalissimamente procedevo con Sua Eccellenza come duca, e non come mercatante. Fecigli le Suppliche, alle quali Sua Eccellenza liberalissimamente rispose. Dove io dissi: Singolarissimo mio padrone, le vere Suppliche ed i veri nostri patti non consistono in queste parole, né in questi scritti, ma si bene il tutto consiste, che io riesca con le opere mie a quanto io le ho promesse; e riuscendo, allora io mi prometto che Vostra Eccellenza Illustrissima benissimo si ricorderà di quanto la promette a me. A queste parole invaghito Sua Eccellenza e del mio fare e del mio dire, lui e la duchessa mi facevano i più isterminati favori, che si possa immaginare al mondo. Avendo io grandissimo desiderio di cominciare a lavorare, dissi a Sua Eccellenza, che io avevo bisogno d’ una casa, la quale fassi tale, che io mi vi potessi accomodare con le mie fornacette, e da lavorarvi le opere di terra e di bronzo, e poi, appartatamente, d’ oro e d’ argento; perché io so, che lui sapeva quanto io ero bene atto a servirlo di questo tali professioni; e mi bisognava istanze comode da poter fare tal cosa." 

Da "La Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze", scritta tra il 1558 e il l 1567 .
Benvenuto Cellini (1500-1571)


Coordinate:   43°46'8.91"N,  11°15'20.58"E                     Mappe: Google - Bing


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