Guardando Firenze nei particolari da dietro l'obiettivo di una fotocamera.

mercoledì 26 settembre 2018

Michele di Lando





Firenze, Piazza del Mercato Nuovo, Loggia del Mercato Nuovo, Statua a Michele di Lando


Note storiche L'opera fu realizzata nell'ambito di un progetto volto a ornare le nicchie della  Loggia del Mercato Nuovo con statue celebrative di personaggi illustri, in analogia e completamento ideale dell'impresa che aveva visto tra il 1842 e il 1858 popolarsi il loggiato degli Uffizi con le effigi dei grandi toscani, e, come chiarito dagli stessi promotori dell'impresa, anche in ragione delle polemiche suscitate negli anni seguenti in merito ai personaggi comunque celebri che erano stati esclusi dal ciclo
La scultura in questione raffigura Michele di Lando (Firenze, 1343 – Lucca, 1401), e fu affidata per l'esecuzione a Antonio Bortone (Ruffano, 13 giugno 1844 – Lecce, 2 aprile 1938)  nel 1895, quindi inaugurata il 31 agosto 1895. Il personaggio - in ragione del suo ruolo storico che lo vide fautore e capo della rivolta dei Ciompi [tra il giugno e l'agosto del 1378]- è raffigurato eretto, a capo scoperto, mentre porta al petto la mano sinistra e con la destra stringe uno stendardo, segnato al vertice dall'asta dal giglio fiorentino. (Da Repertorio delle architetture civili di Firenze)

Coordinate: 43°46'11.50"N, 11°15'15.14"E                      Mappe: Google - Bing


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lunedì 17 settembre 2018

Il Perseo del Cellini





Firenze, Piazza della Signoria, Loggia dei Lanzi

"Il nostro duca di Firenze in questo tempo, che eramo del mese d‘ agosto del 1545, essendo [duca, Cosimo I (Firenze, 1519 – 1574), al Poggio a Caiano: descrive a lui e alla duchessa, D. Eleonora di Toledo (Alba de Tormes, 1522 – Pisa, 1562) ] al Poggio a Caiano, luogo dieci miglia discosto di Firenze, io lo andai a trovare, solo per fare il debito mio, per essere anch’io cittadino fiorentino, e pcrchè i mia antichi erano stati molto amici della casa de‘ Medici, ed io più che nessuno di loro amavo questo duca Cosimo. Siccome io dico, andai al detto 
Poggio solo per fargli reverenza, e non mai con nessuna intenzione di fermarmi seco. 
E siccome Dio che fa bene ogni cosa, a lui piacque, che veggendomi il detto duca, dipoi fattomi molte infinite carezze, e lui e la duchessa mi dimandorno delle opere che io avevo fatte al re: alla qual cosa volentieri, e tutte per ordine io raccontati. Udito ch’egli mi ebbe, disse, che tanto aveva inteso, che così era il vero; e da poi aggiunse in atto di compassione, e disse: Oh poco premio a tante belle 
e gran fatiche! Benvenuto mio, se tu mi volessi fare qualche cosa a me, io ti pagherei bene altrimenti, che non ha fatto quel tuo re, di chi per tua buona natura tanto ti lodi.
A questo mi rispose, che arebbe voluto da me, per una prima opera, solo un Perseo: questo era quanto lui aveva di già desiderato un pezzo; e mi pregò, che io gnene facessi un modelletto. Volentieri mi messi a fare il detto modello, ed in brevi settimane finito l’ ebbi della altezza di un braccio in circa: questo era di cera gialla, assai accomodatamente finito; bene era fatto con grandissimo istudio e arte. Venne il duca a Firenze, e innanzi che io gli potessi mostrare questo detto modello, passò parecchi di, che proprio pareva che lui non mi avessi mai veduto né conosciuto, di modo che io feci un mal giudizio de‘ fatti mia con Sua Eccellenza: pur da poi, un di dopo desinare, 
avendolo io condotto in nella sua guardaroba, lo venne a vedere insieme con la duchessa e con pochi altri signori. Subito vedutolo, gli piacque, e lodollo oltramodo; per la qual cosa mi dette un poco di speranza, che lui alquanto se ne intendessi. Da poi che l’ ebbe considerato assai, crescendogli grandemente di piacere, disse queste parole: Se tu conducessi, Benvenuto mio, così in opera grande questo piccol modellino, questa sarebbe la più bella opera di piazza. Allora io dissi: Eccellentissimo 
mio signore, in piazza sono le opere del gran Donatello, e del maraviglioso Michelagnolo, quali sono istati dua li maggior uomini dagli antichi in qua; per tanto Vostra Eccellenza lllustrissima dà un grande animo al mio modello, perché a me basta la vista di far meglio l'opera, che il modello, più di tre volte.
A questo fu non piccola contesa, perché il duca sempre diceva, che se ne intendeva benissimo, e che sapeva appunto quello che si poteva fare: a questo io gli dissi, che le opere mie deciderebbono quella quistione e quel suo dubbio, e che certissimo io atterrei a sua eccellenza molto più di quel che io gli promettevo, e che mi dessi pur le comodità, che io potessi fare tal cosa; perché, sanza quelle comodità, io non gli potrei attenere la gran cosa, che io gli promettevo. A questo Sua Eccellenza mi disse, che io facessi una supplica di quanto io gli domandavo, ed in essa contenessi tutti i mia bisogni, che a quella amplissimamente darebbe ordine. Certamente che se io fussi stato astuto a legare per contratto tutto quello, che io avevo di bisogno in queste tutto quello, che io avevo di bisogno in queste mia opere, io non arei auto i gran travagli, che per mia causa mi son venuti; perché la volontà sua si vedeva grandissima si in voler fare delle opere, e si nel dar buon ordine a esse: però non conoscendo io, che questo signore aveva più modo di mercatante che di duca, liberalissimamente procedevo con Sua Eccellenza come duca, e non come mercatante. Fecigli le Suppliche, alle quali Sua Eccellenza liberalissimamente rispose. Dove io dissi: Singolarissimo mio padrone, le vere Suppliche ed i veri nostri patti non consistono in queste parole, né in questi scritti, ma si bene il tutto consiste, che io riesca con le opere mie a quanto io le ho promesse; e riuscendo, allora io mi prometto che Vostra Eccellenza Illustrissima benissimo si ricorderà di quanto la promette a me. A queste parole invaghito Sua Eccellenza e del mio fare e del mio dire, lui e la duchessa mi facevano i più isterminati favori, che si possa immaginare al mondo. Avendo io grandissimo desiderio di cominciare a lavorare, dissi a Sua Eccellenza, che io avevo bisogno d’ una casa, la quale fassi tale, che io mi vi potessi accomodare con le mie fornacette, e da lavorarvi le opere di terra e di bronzo, e poi, appartatamente, d’ oro e d’ argento; perché io so, che lui sapeva quanto io ero bene atto a servirlo di questo tali professioni; e mi bisognava istanze comode da poter fare tal cosa." 

Da "La Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze", scritta tra il 1558 e il l 1567 .
Benvenuto Cellini (1500-1571)


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lunedì 10 settembre 2018

La strana piccola testa del Duomo





Firenze, Duomo

Sul lato sinistro del Duomo vediamo tre grandi teste apotropaiche appoggiate su degli emipilastri, due hanno sembianze apparentemente umane e una terza ha le fattezze leonine. Quella testa umana, che è più lontana dalla facciata e quindi più vicino alla cupola del Brunelleschi retrostante, si atteggia a gridare inorridita per sempre, chissà perché, ed ha al suo fianco sinistro un particolare che non è visibile dal basso il che fa presumere che sia stato messo lì per qualche motivo nascosto che però ci sfugge. Sembra essere la testa di una persona dalle sembianze vagamente feline, di gatto, con una pettinatura strana, ma potrebbe rappresentare proprio semplicemente un gatto. Potrebbe anche essere la caricatura di qualcuno, magari dello stesso scalpellino che l'ha realizzata o chissà chi o potrebbe essere il gatto di bottega che ha ispirato l'artista tanto da volerlo immortalare con una scultura tanto in alto. Già abbiamo visto che il Duomo accoglie tante altre teste di animali, buoi, cani, soprattutto leoni, e dopotutto mancava il gatto.





Coordinate:   43°46'24.09"N,  11°15'25.74"E                     Mappe: Google - Bing




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lunedì 3 settembre 2018

L'orologio della Torre di Arnolfo





Firenze, Palazzo Vecchio

Sul lato della Torre di Arnolfo (Arnolfo di CambioColle di Val d'Elsa, 1232 o 1240 circa – Firenze,  1302-1310 circa) di Palazzo Vecchio che guarda verso Piazza della Signoria è collocato l’antico orologio, uno dei più grandi al mondo, voluto dal Granduca Ferdinando II de' Medici (Firenze, 1610 – 1670) per rendere omaggio a Galileo  (Pisa, 1564 – 1642) ed alle sue invenzioni nel campo dell’orologeria. Infatti l’orologio presenta lo scappamento e il pendolo regolatore inventato da Galileo e fu proprio su questo tipo di orologio che il Granduca pianificò un programma per la regolazione di tutti i segnatempo della Toscana.  

A tal fine, nel 1665 il Granduca dette incarico all’orologiaio di corte J.P. Treffler  (Augusta, 1625 –  1698) di realizzare il nuovo orologio che doveva sostituire il vecchio orologio fatto dal fiorentino Nicolò Bernardo nel 1353, in un’officina in una via in prossimità del Duomo che da allora venne chiamata Via dell’Oriuolo. La costruzione di questo orologio ad Augusta da Georg Lederle su indicazioni di Treffler fu completata nel 1667 e lo stesso Treffler lo trasportò, su quattro carri trainati da buoi, nell’estate dello stesso anno a Firenze.
Gli anni passano, e ad essi succedono i secoli, quindi risulta necessario curare ciò che è invecchiato ed è per questo che il Comune ha deciso di restaurare l'opera per renderla ancora adatta a sopravvivere anni e secoli.




Coordinate: 43°46'9.20"N, 11°15'21.20"E                     Mappe: Google - Bing 



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