Guardando Firenze nei particolari da dietro l'obiettivo di una fotocamera.

mercoledì 18 dicembre 2019

Il Palazzo Gianfigliazzi, la contessa d'Albany e Vittorio Alfieri

Cliccare sull'immagine per ingrandire 

Firenze, Lungarno Corsini 2, Palazzo Gianfigliazzi

Nei pressi del Ponte Santa Trinita e Via Tornabuoni, per chi percorre il Lungarno Corsini trova sopra il portone del numero 2 una lapide sulla quale è incisa la seguente dicitura: 


VITTORIO ALFIERI PRINCIPE DELLA TRAGEDIA

PER LA GLORIA E RIGENERAZIONE DELL'ITALIA 

 QUI CON MAGNANIMO ARDIRE MOLTI ANNI DETTO' E MORI'

L'edificio su cui è apposta la targa è quello che già dei Ruggerini (come ci informa il Repertorio delle Architetture Civili di Firenze) e quindi passato ai Fastelli, vanta una prima edificazione trecentesca e quindi una configurazione sotto forma di palazzo attorno alla metà del Quattrocento fu il primo ad essere costruito sull'attuale fronte stradale, fino ad allora caratterizzato da case arretrate e segnate da questo lato da terreni delimitati da bassi muri. Acquistato nel 1460 dai Gianfigliazzi (che in questa zona possedevano numerosi edifici compreso quello attiguo al nostro, attualmente segnato con il numero 4) fu oggetto nel Seicento di un intervento su progetto di Gherardo Silvani, volto ad adeguare il palazzo al gusto del tempo (sua la facciata, il terrazzino e la cappella secondo Filippo Baldinucci). Alla fine del Settecento (1792) fu abitazione della contessa Luisa Stolberg d'Albany: in questo periodo qui furono ospiti Ugo Foscolo, il pittore François-Xavier Fabre, Anne Louise Germaine Necker (Madame de Staël) e Vittorio Alfieri, che vi morì nel 1803. Lo stesso Alfieri descrive la casa come "graziosa, benché piccola, posta al lungarno di Mezzogiorno...". Ancora nei primi decenni dell'Ottocento il palazzo, diviso in appartamenti, risulta affittato a ospiti selezionati, così come è documentato con lo scrittore e storico della letteratura americano George Ticknor, qui nel 1818 e ancora nel 1836. Nuovi e importanti lavori di trasformazione furono promossi nell'Ottocento (un cantiere, presumibilmente diretto dall'architetto Francesco Petrini, è documentato nel 1846), quando l'edificio fu ampliato da entrambi i lati, rialzato e sostanzialmente modificato fino a configurarlo nei termini odierni. Nel 1906 fu restaurata la facciata. Nel 1936 furono allargati tre sporti di negozio. Fino a tutto il 2011 ha ospitato il consolato inglese a Firenze. Sul fronte è uno stemma moderno dei Dainelli da Bagnano. 

Come detto, Vittorio Alfieri morì in questo palazzo nel 1803 ospite della contessa Luisa Stolberg d'Albany. Ma chi era la contessa Luisa Stolberg d'Albany? Nata Louise Maximilienne Caroline Emmanuele di Stolberg-Gedern (Mons, 20 settembre 1752 – Firenze, 29 gennaio 1824) prese il cognome da Carlo Edoardo Stuart, conte d'Albany, cinquantaduenne all'epoca, col quale si sposò, lei ventenne, per procura alla fine di Marzo del 1772 per  poi conoscerlo di persona a metà del mese successivo.  Carlo Edoardo Stuart era il  pretendente giacobita al trono d'Inghilterra, rifugiato esule a Firenze, il quale trovò dimora nel palazzo di San Clemente o Casino Guadagni, detto appunto palazzo del Pretendente, situato in via Pier Antonio Micheli 2 all'angolo con via Gino Capponi 15.
Luisa Stolberg è più conosciuta nella storia della letteratura con il titolo di contessa d'Albany, come intellettuale attiva nei salotti romani, fiorentini e parigini. Rimase vedova di Carlo Edoardo nel 1788. Già nel 1777 la  contessa intratteneva una relazione con Vittorio Alfieri, ventottenne, fu un colpo di fulmine dal loro primo incontro che divenne rapporto stabile a palese alla morte del Pretendente a Parigi fino al 1791, quando la Rivoluzione costringe Luisa e Vittorio a fuggire dalla Francia per tornare a Firenze proprio nel Palazzo Gianfigliazzi. 

Il ritratto che l’Alfieri fa di Luisa nella Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso (pubblicata postuma nel 1806, con la falsa data del 1804): 
"Fin dall'estate innanzi, ch'io avea come dissi passato intero a Firenze, mi era, senza ch'io '1 volessi, occorsa più volte agli occhi una gentilissima e bella signora, che per esservi anch'essa forestiera e distinta, non era possibile di non vederla e osservarla; e più ancora impossibile, che osservata e veduta non piacesse ella sommamente a ciascuno... L'impression prima me n'era rimasta negli occhi, e nella mente ad un tempo, piacevolissima. Un dolce focoso negli occhi nerissimi accoppiatesi (che raro adiviene) con candidissima pelle e biondi capelli, davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito e conquiso. Età di anni venticinque; molta propensione alle bell'arti e alle lettere; indole d'oro; e, malgrado gli agi di cui abondava, penose e dispiacevoli circostanze domestiche, che poco la lasciavano essere, come il dovea, avventurata e contenta. Troppi pregi eran questi, per affrontarli."

Coordinate:  43°46'11.26"N,  11°15'0.81"E                     Mappe: Google

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domenica 1 dicembre 2019

Le sanzioni minacciate dai Signori Otto nel Seicento



Firenze, Via Gino Capponi, lapide


All'inizio di Via Gino Capponi, all'angolo della Basilica della Santissima Annunziata si trova murata una delle tante lapidi nelle quali si leggono le minacce della magistratura, i Signori Otto di Guardia e Balia. Questi, i  Signori Otto di Guardia e Balia, detti anche più semplicemente Signori Otto, erano un'antica magistratura fiorentina che attendeva agli affari criminali e di polizia della Repubblica di Firenze prima e del granducato poi.
Già nel 1353 era stata data "balia" a otto cittadini perché trovassero il modo di reprimere e punire gli episodi criminali, soprattutto quelli violenti, che avvenivano in città. Gli otto saggi stabilirono che si dovessero nominare quattro ufficiali di polizia ma forestieri, cioè che fossero originari di luoghi posti ad almeno quaranta miglia dalla città, e affidare a ciascuno di loro un notaio e cinquanta famigli, sbirri, che in uniforme avrebbero dovuto pattugliare la città e piantonare le chiese per evitare che i rei vi si rifugiassero e chiedessero diritto d'asilo.
Nella lapide situata dopo le ultime 4 finestre a destra della foto, tra il cartello di divieto di transito e l'angolo della Basilica si legge a fatica e prima che il tempo e le intemperie cancelli tutto definitivamente:

--------------------------------------------------------
A DI XXI D'APRILE MDCXIIII
GLI SPETTABILI · SRI. OTTO · DI
BALIA · PROIBISCONO CHE · NO
NSI · FACCIA, SPORCIZE. LVNGO.
LACAPELLA DI SAŇO. BASTO DE
PVCCI · P QUANTO. DVA. DEA. CAP
PELLA SOTTO PENA DI DVA TR-
ATTI DI FVNE E QVATTRO
[ SCUDI ]  OLTRE · ALLA · CATTVRA
--------------------------------------------------------

Qualche altra lapide dei Signori Otto era indirizzata esplicitamente contro le signorine che si dedicavano alla 'professione', altre lapidi contro gli schiamazzi, i giochi rumorosi, soprattutto il gioco delle pallottole, contro  chi sporcava le fontane pulendo i calamai o facendo 'brutture' agli angoli più o meno nascosti della pubblica via, nei pressi di chiese e altri luoghi sacri o di proprietà di religiosi, frati, monache.


Coordinate:  43°46'36.15"N,   11°15'40.53"E                   Link diretto Google


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lunedì 17 giugno 2019

Dodecaedro e l'albero di Gelso di Leonardo





Firenze, Piazza della Signoria

Leonardo da Vinci morì 500 anni fa,  il 2 Maggio 1519,  nel castello di Clos-Lucé ad Amboise, Francia, all'età di 67 anni.

La forma geometrica del Dodecaedro e l'albero di Gelso sono i due simboli della mostra LA BOTANICA DI LEONARDO. PER UNA NUOVA SCIENZA TRA ARTE E NATURA.

Per gli antichi Greci e per i neoplatonici rinascimentali il Dodecaedro rappresenta l'intero l'universo, mentre gli altri poliedri platonici rappresentano i quattro elementi: la terra (cubo), l'aria (ottaedro), l'acqua (icosaedro) e il fuoco (tetraedro). Leonardo disegnò i poliedri per il manoscritto De Divina Proportione di Luca Pacioli.
Il Gelso (Morus Alba L.) è una delle piante più amate da Leonardo, che l'ha rappresentato, come tema unico, nella sala delle Asse del Castello Sforzesco di Milano. Con la foglia del Gelso, inoltre, l’insetto Bombyx mori produce la meraviglia della seta; seta che per Leonardo ben esprime il mistero, la forza, la grazia e la bellezza della natura e la sua condivisione con l’uomo.
Leonardo ha studiato approfonditamente le tecniche di lavorazione della seta e nei suoi appunti sono presenti innovativi progetti di strumenti e meccanismi tecnologici connessi alla produzione serica, con particolare riferimento ai torcitoi e ai processi di torcitura.
Insieme rappresentano il mistero della connessione fra tutte le cose che affascinò Leonardo e ispirò i suoi studi nell'arco di tutta la sua vita.


La botanica di Leonardo PER UNA NUOVA ARTE E NATURA
FIRENZE - MUSEO SANTA MARIA NOVELLA 13 SETTEMBRE - 15 DICEMBRE

Fonte
www.labotanicadileonardo.com


Coordinate:  43°46'11.32"N,  11°15'20.57"E                     Mappe: Google - Bing




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mercoledì 5 giugno 2019

Le cascate delle Rampe del Poggi



Firenze, cascate delle Rampe del Poggi

Grazie al restauro eseguito in tempi rapidi, solo 225 giorni, ritornano visibili nell'integrità originaria le cascate che solo i nostri avi avranno visto in quel lontano anno 1876, al termine dei lavori su progetto dell'architetto Giuseppe Poggi.
Il Sistema delle Rampe si sviluppa su una superficie di 6.700 metri quadrati, si articola su tre livelli o ripiani: le Grotte, situate nei primi due ripiani delle Rampe, una sul primo e cinque sul secondo, queste ultime costituite da nicchie scavate nei due muraglioni a retta e realizzate con una struttura in muratura rivestita da intonaco lavorato e da spugne; la Grande Vasca polimaterica, situata sul terzo livello delle Rampe, composta da più bacini, realizzata con una struttura in muratura rivestita da spugne, pietrame e mosaico; le Scogliere e le Piccole Grotte, posizionate lungo i percorsi, realizzate con blocchi di pietra provenienti dalle cave di Monte Ripaldi, come i 'massi erranti' disseminati nei luoghi dove i percorsi si allargano. 

Col trasferimento della Capitale d'Italia a Firenze fu affidato all'architetto Giuseppe Poggi (Firenze, 1811 – 1901) l’incarico per la realizzazione del Nuovo Piano di Ampliamento della Città che prevedeva importanti trasformazioni urbane: dall'abbattimento dell'ultima cinta muraria alla realizzazione dei grandi viali di circonvallazione, dalla nuova stazione ferroviaria alla realizzazione del Campo di Marte. Ma soprattutto grazie a quel progetto si dette vita, per la prima volta, ad un vero e organico sistema di verde urbano di respiro europeo, un patrimonio di giardini pubblici destinati e dedicati non solo alle classi privilegiate ma al benessere di tutta la comunità.



Le Rampe, opera monumentale che a Firenze collega il lungarno con Piazzale Michelangelo, il belvedere più importante della città, finora erano coperte dalla fitta vegetazione, rovinate dal tempo e dalle intemperie, prive dei loro giochi d’acqua e poco conosciute per questo anche da molti fiorentini.

In questo contesto un’ importanza del tutto particolare è rappresentata dall'acqua che scorre dall'alto, in suggestivo contrappunto con le acque dell'Arno, e che torna a scorrere dopo un secolo di silenzio e che restituisce a tutto l’insieme il fascino del giardino romantico della seconda metà dell'Ottocento. 

L’acqua infatti fuoriesce dalla sommità, dove sono visibili il giglio e la conchiglia, e riempie la prima vasca per confluire nelle tre grotte. Quindi riempie la seconda vasca e attraversa la cascata lunga 8 metri ed alta circa 5 metri cadendo nell'ultima vasca; da qui raggiunge la parte alta delle Cinque Grotte per confluire poi nella vasca ovale e nella grotta singola posta immediatamente sotto la vasca ovale. Infine tutta l’acqua confluisce nella vasca grande della Torre di San Niccolò e nelle due vasche laterali alla Torre dotate di cascate. Quindi viene ricondotta al serbatoio di ricircolo da dove viene ripompata verso l’alto. Per alimentare il sistema è stato costruito un nuovo impianto idrico sostenibile dal punto di vista ambientale e dei costi di gestione, utilizzando un sistema di ricircolo alimentato con acqua di pozzo, senza attingere dalla rete idrica cittadina. 
Di particolare importanza è stato il recupero della componente vegetale che ha salvaguardato la forma e l’aspetto polimaterico delle componenti architettoniche collocando piante ornamentali, acquatiche e semiacquatiche compatibili con quelle originali, in gruppi omogenei distribuiti negli spazi predisposti per l’impianto vegetale.

Panorama di Firenze dal vertice delle cascate


Coordinate:  43°45'49.27"N,  11°15'54.00"E                     Mappe: Google - Bing



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giovedì 28 marzo 2019

Ecco di nuovo la Fontana e il Nettuno dell'Ammanati





Firenze, Piazza della Signoria, Fontana del Nettuno

Finalmente dopo un restauro accurato durato due anni torna visibile nel suo splendore la Fontana del Nettuno di Piazza della Signoria, ripristinando la funzionalità dell’impianto idrico che alimenterà i giochi d’acqua immaginati e voluti da Bartolomeo Ammannati (Settignano, 1511 – 1592) che la ideò per Cosimo I de' Medici (Firenze, 1519 – 1574). Quest'anno, il 2019, si celebrano i 500 anni dalla nascita di Cosimo I che fu committente dell’opera e Caterina de’ Medici. Il costo delle operazioni di restauto si aggira su 1,5 milioni di euro ed ha  come sponsor Salvatore Ferragamo tramite Art Bonus.

Cenni storici (dal sito del Comune di Firenze)

Nel 1559 Cosimo I de’ Medici bandì un concorso per creare la prima fontana pubblica di Firenze, al quale parteciparono i più importanti scultori fiorentini dell’epoca: venne scelto il Nettuno di Bartolomeo Ammannati perché giudicato più significativo nell’esaltare i gloriosi traguardi marinari raggiunti in quei decenni dal ducato di Toscana. L’apparato scultoreo venne eseguito tra il 1560 e il 1565, e fu inaugurato provvisoriamente in occasione delle nozze tra Francesco I de’ Medici (Firenze, 1541 – 1587) e la granduchessa Giovanna d’Austria (Praga 1547 – Firenze, 1578) il 18 dicembre 1565 ma la fontana fu definitivamente terminata e inaugurata il 24 giugno 1574.

La figura di Nettuno, realizzata in marmo bianco di Carrara, riprende i tratti di Cosimo I de’ Medici, si erge su un piedistallo al centro della vasca ottagonale che contiene i quattro cavalli del cocchio. Ai suoi piedi stanno tre tritoni intenti a suonare delle tibie che zampillano acqua. Agli angoli della vasca sono presenti i gruppi di divinità marine (Dori, Teti, Forci e Glauco), ciascuna delle quali ha ai piedi un corteo di ninfe, satiri e fauni in bronzo realizzati dallo stesso Ammannati. La scultura marmorea non riuscì da subito ad ottenere l’apprezzamento dei fiorentini che scherzosamente diedero al Nettuno il soprannome di “Biancone” e irrisero l’artista con la famosa battuta ‘Ammannato, Ammannato, che bel marmo t’hai sprecato’.


La Fontana ha una storia conservativa piuttosto travagliata: i primi danneggiamenti documentati risalgono al 1581, tanto che fin dal 1592 si rese necessario costruire intorno a essa una ringhiera di protezione. Nel 1831 fu rubato un fauno all’angolo con Palazzo Vecchio, sostituito l'anno seguente da una copia eseguita da Vincenzo Pozzi. Le zampe dei cavalli sono state spezzate più volte, nel 1981, 1986 e 1989. Al 2005 risale il danneggiamento vandalico che ha provocato la caduta della mano destra di Nettuno.

Negli anni ’20 del Settecento sia il monumento che i condotti di alimentazione dell’acqua furono restaurati da Giovanni Battista Foggini (Firenze, 1652 – Firenze, 1725)  e in seguito sono stati interessati da importanti interventi dell’architetto Giuseppe del Rosso (1812). Nel 1943 furono rimossi i bronzi affinché fossero protetti da eventuali danni in occasione dei bombardamenti. I sistemi adottati nel tempo per il trattamento idrico dell’acqua sono stati modificati, poiché dopo il 1986, sulle superfici del marmo, cominciò ad apparire una patina giallastra. Un primo impianto fu installato prima dell’alluvione del 1966, reso inservibile in seguito all’evento. Rimesso in funzione e modificato più volte, fu riattivato nel 1993 per il solo filtraggio dell’acqua di ricircolo. In questo intervallo di tempo fu anche immessa nei condotti della fontana l’acqua dell’acquedotto senza filtraggio.

Dopo gli interventi di manutenzione o di restauro degli ultimi decenni, si sono ripresentate le alterazioni cromatiche apparse dopo il 1986, in particolare l’ingiallimento del marmo bianco, ricondotto alla migrazione di sostanze ferrose o altri metalli rilasciate dalle tubazioni con il passaggio di additivi chimici di trattamento delle acque come il cloro e il sale.

Di non secondaria importanza l’intervento di rifacimento dell’impianto idrico della fontana che rappresenta altro elemento fondamentale del progetto di restauro. Si è provveduto alla rimozione di tutte le vecchie tubazioni presenti all’interno della fontana e nel cunicolo che collega il gruppo scultoreo ai locali interrati di Palazzo Vecchio; le nuove tubazioni all’interno dei gruppi scultorei sono esclusivamente in acciaio inox; si è anche provveduto alla bonifica dei locali interrati ed alla demolizione di tutte le vasche antincendio realizzate prima della seconda guerra mondiale e non più utilizzabili. In tali ambienti sotterranei, posti sotto la Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, si è così potuto collocare il nuovo impianto di depurazione, ricircolo e di spinta che alimenterà la fontana. Significativo è il quantitativo di acqua che sarà immessa nella fontana, circa 27 litri al secondo, che finalmente restituirà, dopo decenni di malfunzionamenti, gli effetti scenografici immaginati da  Ammannati per il suo monumento.
La realizzazione impianto di depurazione ed alimentazione
Potenza impianto elettrico per pompe di spinta kW 50,00
Volume vasca fontana mc. 35
Volume vasca di compenso mc. 20
Portata totale impianto 27,00 litri/sec., 1620,00 litri/min., 97.200,00 litri/ora



Coordinate: 43°46'10.40"N, 11°15'21.35"E                      Mappe: Google - Bing 


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mercoledì 2 gennaio 2019

Buon 2019





Firenze, Ponte Vecchio

Un augurio di un felice anno nuovo dal Ponte Vecchio


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mercoledì 7 novembre 2018

Cosa si leggeva nel 1866 della Loggia dei Lanzi





Firenze, Piazza della Signoria

leggiamo di seguito la descrizione di Luigi Passerini della Loggia dei Lanzi in un brano tratto dal suo libro Curiosità storico-artistiche fiorentine del 1866 

LA LOGGIA DELLA SIGNORIA
Quel sistema di vita pubblica ch'era proprio dei nostri padri, come diè motivo alla costruzione delle loggie che presso i loro palazzi inalzarono le più doviziose, tra le famiglie fiorentine, tanto di origine magnatizia che popolare, spinse pure il Comune a edificarne una che servisse per quegli atti che alla presenza di tutti dovevano consumarsi.
Solevano i ricchi celebrare nella domestica loggia gli avvenimenti più solenni delle loro famiglie, quelli che dovevano avere l'intiero popolo per testimone : quali, a mo' d'esempio, le scritte nuziali ; gli atti più importanti di compra e vendita ; le donazioni ; i conviti, infine , e le feste che celebravansi per solennizzare il conseguimento del grado equestre o qual altro si voglia fausto avvenimento domestico.
Del pari non pochi erano gli atti che obbligavano la Signoria a presentarsi ai proprii concittadini sulla ringhiera ch'era posta dappresso alla porta principale del suo palazzo; su quella ringhiera che con improvvido consiglio fu atterrata mentre in Firenze regnavano i Napoleonidi, e che dovrebbesi ricostruire quando si volesse rendere il suo vero carattere a quell'insigne monumento. La necessità di convocare il popolo a parlamento ; il bimestrale succedersi del gonfaloniere di giustizia e dei priori; la pompa voluta per dare il bastone del comando ai capitani che dovevano guidare l' oste nel campo , e per  decorare della dignità cavalleresca i benemeriti della patria; erano circostanze tutte che obbligavano i rappresentanti della repubblica a sedersi al cospetto della intiera popolazione. Ma gli ardori della estiva stagione e il caso non infrequente che si dovessero per incessante pioggia sospendere, ossivvero consumare con grave incomodo quegli atti solenni, fecero por mente alla convenienza di costruire un luogo coperto che servisse ai molteplici bisogni della vita pubblica ed alle ceremonie ch'erano una conseguenza del reggimento a comune.
Fu incominciato a parlarne intorno alla metà del secolo XIV, ed il decreto che stabilì la costruzione della loggia fu vinto nel consiglio maggiore il 21 novembre 1356 : ma ignoro i motivi che ne sospesero l'attuazione per ben venti anni. Vuolsi che Andrea Orcagna ne facesse il disegno e il modello; lo asserisce il Vasari e lo ripetono quanti scrissero dopo di lui : ma certamente non potè l'illustre architetto presedere alla fabbrica, essendo egli di già morto nel 1368, più di otto anni prima che si comprassero, le case dei Baroncelli e le altre che furono demolite per dar luogo alla loggia.
Può ben darsi ch' ei ne avesse, pria di venire a morte, fatto il modello; ma chiunque è pratico in arte converrà meco che male può concepirsi il disegno di un edifizio quando non si conosce il luogo su cui dev'essere costruitole che ben spesso tali e tante sono le variazioni che vi si apportano nell'eseguirlo che poco o nulla rimane del primitivo concetto. Risulta dai documenti che Benci di Cione e Simone di Francesco Talenti furono i capo maestri preposti alla fabbrica allorchè vi fu posta mano nel 1376 : ambedue artisti famosi che molto lavorarono a Or-San-Michele ed al palazzo dei Potestà. Fu il primo valente magistrato, e sempre condotto al campo per dirigere le opere di assedio intraprese per la repubblica ; quanto valesse nella sua arte il Talenti, lo dicono i belli e ricchi ornati che chiudono le lunette delle loggie di Or-San-Michele, non meno che la semplice ed elegante facciata della chiesa ora dedicata a S. Carlo. Ambidue erano ben capaci d' immaginare il progetto della bella loggia che forma soggetto di questo articolo: e mi fa supporre che ad essi se ne debba il disegno il sapersi che anche nel 1379, e più tardi, il Talenti modellava i capitelli dei grandi pilastri egli altri ornati, mentre Iacopo di Paolo e poi Lorenzo di Filippo dirigevano le costruzioni murarie. Antonio di Puccio di Benintendi, del popolo di S. Michele Visdomini, era il capo dei muratori, e da lui furono costruite le volte: e mi piacque notarlo, perchè da quell'uomo appunto deriva una delle case Fiorentine che furono molte ricche di sto ria perdurante la supremazia e il governo dei Medici; la famiglia dei Pucci.
Ideò l' architetto che nell' alto della loggia dovessero figurare li stemmi del Comune ed ancora le virtù teologali e le cardinali, siccome quelle che devono essere la base di qualunque ben ordinato reggimento: e perciò, mentre le armi si allogavano a Nicolò di Piero Lamberti scultore aretino , si ordinava il disegno delle figure ad Agnolo di Taddeo Gaddi. Egli diè compiti i cartoni intorno al 1383, e poco dopo si affidavano le scolture ai più pregiati tra quei maestri che aveano prestata per il Duomo l'opera loro; appunto perchè agli Operai di S. Maria del Fiore erasi commessa la sorveglianza ai lavori che si facevano per questa loggia. A Giovanni d'Ambrogio si diè a fare la figura della Giustizia in bassorilievo nel 1384, e più tardi quella della Prudenza: si allogarono a Giovanni di Fetto la Fortezza e la Temperanza, nell' anno istesso; ma non potendo per la vecchiezza condurre a termine quelle scolture, si dettero nel 1385 a compiere a Iacopo di Piero Guidi, del popolo di S. Apollinare, il quale avea già dato prova eccellente di sè nell' effigiare la Speranza e la Fede. La Carità, ch' erasi immaginato di con durre in alto rilievo, per porsi sotto di un tabernacolo situato nel centro della parte che è volta ad Oriente, fu assegnata a Luca di Giovanni valente artista senese; ma dopo due anni gli fu ritolta, perchè non avea per'anche posto mano al lavoro, e data a farsi a Piero di Giovanni del Brabante. Egli pure assunse l' incarico, ma non potè condurlo a buon fine; e nel 1388 chiese di esserne esonerato stantechè troppo lo aggravavano le commissioni avute per S. Maria del Fiore: e fu allora che anche di questa statua fu affidata la esecuzione a Iacopo di Piero Guidi. Poste tali figure ai luoghi destinati, volle l'archi tetto che fossero maggiormente decorate : e perciò, dopo che frate Leonardo monaco di Vallombrosa le ebbe con tornate di vetri colorati di azzurro, fu ordinato a Lorenzo di Bicci di colorirle al naturale e di lumeggiarle e di arricchirle coli oro. Compievansi i lavori intorno al 1387, nel qual' anno si lastricava la loggia, e si ponevano a pie dei pilastri le statuette dei leoni e leonesse sedenti lavorati dal più volte rammentato Iacopo Guidi.
Non è mio intendimento di esporre i fatti dei quali è stata testimone la loggia , avvegnachè io volli soltanto rammentare le notizie artistiche che vi hanno rapporto, onde non vadano perdute quelle che nei miei studi ho avuto la fortuna di ritrovare ; abbenchè di alcune avesse già il Baldinucci fatto tesoro. Rimase la loggia sgombra di statue fino ai tempi del Principato Mediceo; e soltanto dopo la metà del secolo XVI fu pensato a collocare sotto le grandi arcate quei tre meravigliosi gruppi che basterebbero a formare il decoro di qualsivoglia città. Primo per data è quel di Giuditta che calpesta il cadavere di Oloferne a cui ha troncata la testa. Lo scolpì Donatello d'ordine di Cosimo il vecchio dei Medici, e fu conservato nel palazzo che fu proprio di questa casa fino al 1494 : nel quale anno, cacciati i Medicei, fu di là tolto e collocato presso la porta del palagio della Signoria, al principio della ringhiera. Gli fu data una tale destinazione perchè lo si volle emblema di libertà; quasichè nella donna forte si fosse voluto simboleggiare la repubblica che si sbarazza del suo tiranno: e per questo non solo vi si vollero scritte al di sotto le memorabili parole exemplum salutis publicae cives posuere; ma si pensava ancora di scolpirvi alcuni distici che spiegano in più decisi termini l'intendimento dei riformatori del Comune; distici che in un codicetto sincrono esistente presso di me si attribuiscono a frate Girolamo Savonarola. ' Fu tolta di quel luogo nel 1504 per dar posto al David di Michelangiolo; e fu collocata allora in una nicchia apposita mente scavata nel muro del primo cortile, di faccia alla porta: ove rimase fino a dopo il 1560, cioè finacchè non fu messa dove attualmente si trova. In quel tempo avea Benvenuto Cellini collocato sotto di una delle arcate il suo Perseo : opera insigne che si è voluta, più al dì d'oggi che in antico, destinata a rappresentare la caduta della repubblica per opera di casa Medici; appunto perchè i soliti sognatori di favole genealogiche hanno preteso di asserire sul serio che la casa Medicea derivò da quel semideo, e che le palle del suo stemma altro non sono che i pomi degli orti Esperidi. Non molto dopo, intorno al 1585, Giovanni Bologna, scolpì il ratto delle Sabine, e lo fece per l'arcata che restava vuota : ma dopo quel epoca nulla vi fu innuovato fino alla seconda metà del secolo scorso; perchè data appunto di quel tempo la collocazione delle Vestali qua recate dalla villa Medicea di Roma, e dei due leoni posti all' ingresso, uno di antica scultura romana, e l'altro scolpito da Flamminio Vacca ad imitazione di quello. Ma al porre sotto le loggie cotali avanzi dell'antica arte romana si ebbe in mira principalmente di non occuparne l' area , diminuendone le proporzioni grandiose, e perciò fu savio divisamento, degno di quei valentuomini che furono il Paoletti e il Salvetti, di disporli lungo le pareti.
Quel che non erasi fatto nel secolo scorso lo si volle fatto nel nostro, e con poco criterio, a mio avviso, si posero nel centro, e l' Ercole che uccide il centauro di Giovanni Bologna, e l'Aiace che sostiene Patroclo morente , frammento preziosissimo dell' arte greca ridotto come oggi si vede dallo scultore Stefano Ricci. Peggio ancora si fece nel 1859, quando si concesse al cav. Ignazio Villa di collocare quei suoi barometro e termometro alle pareti; che fin d'allora furono con molto spirito qualificati per due mosche di Milano attaccate all'infermo edifizio.

Da Curiosità storico-artistiche fiorentine Di Luigi Passerini - 1866


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giovedì 1 novembre 2018

Gli strumenti astronomici di Ignazio Danti sulla facciata della Basilica di Santa Maria Novella





Firenze, Piazza Santa Maria Novella, Basilica di Santa Maria Novella



Tra il 1572 e il 1575, sulla parte destra della facciata della Basilica di Santa Maria Novella, il cosmografo Ignazio Danti (Perugia 1536-1586) installò sulla facciata della Basilica di Santa Maria Novella ben tre strumenti astronomici: un grande quadrante con orologi solari, un'armilla equinoziale, e un foro gnomonico per una meridiana a camera oscura. Questi strumenti avevano lo scopo di favorire nuovi calcoli astronomici destinati al progetto di riforma del calendario giuliano che avrebbe dovuto ristabilire definitivamente la data liturgicamente esatta della Pasqua e delle annesse feste mobili. Danti era convinto che i problemi dell'epoca, relativi al calendario, richiedessero una revisione completa di ciò che si conosceva sui movimenti del Sole. Favorito dal mecenatismo di Cosimo I de' Medici (Firenze, 1519 – 1574), sostenitore del progetto di riforma poi attuato da Gregorio XIII, Danti spese i suoi ultimi anni fiorentini nella costruzione di questo monumento di astronomia.

"... Ritornato in Firenze, tolse nuovamente ad ammaestrare la gioventù fiorentina nelle matematiche, dando opera nel tempo stesso a'diletti suoi studi della astronomia e della cosmografia, nel suo convento di Santa Maria Novella, ove Cosimo dei Medici lo onorava sovente di visita, piacendosi di vederlo operare mappamondi, astrolabii, ed altri così fatti lavori. Frutto di questi studi fu un' opera che egli fece di pubblica ragione in quello stesso anno 1569, intitolata, Dell'uso e fabbrica dell'astrolabio. Nel 1572 delineava il primo Gnomone sulla facciata di Santa Maria Novella. Nel 1573 voltava in italiano il Trattato della Sfera di Proclo Liceo, e lo intitolava al cardinale Ferdinando de' Medici, suo discepolo negli studi delle matematiche. In quell'anno medesimo pubblicava la Prospettiva di Euclide e quella di Eliodoro Larisseo. Con le quali opere quanto servigio rendesse agli studiosi delle buone arti, non è chi possa disconoscere. Nel 1574 delineava il secondo Gnomone sulla facciata di Santa Maria Novella. In questo mentre, il Granduca Cosimo I, il quale avea fatti costruire alcuni grandi armadi per riporvi tutti gli oggetti preziosi di arti e di antichità che egli con grandissimo dispendio andava raccogliendo, pregò il Padre Ignazio a delinearvi e colorirvi con ogni possibile accuratezza e con le dovute proporzioni, le carte geografiche di tutta Europa; e il Danti ne lo compiacque, conducendo a termine tutto quel lavoro con sua lode bellissima; onde scrisse il Vasari, che di quella professione non è stata mai per tempo nessuno fatta opera nè la maggiore nè la più perfetta. Ci avverte però il Padre Serafino Razzi, che del Padre Ignazio Danti è solamente il disegno di tutto questo sterminato lavoro; ma che lo fece colorire sotto la sua direzione da' suoi giovani, non consentendogli forse le gravissime sue occupazioni di eseguirlo egli stesso. Queste tavole geografiche rimangono tuttavia nel Palazzo Vecchio e noi, in luogo di riportare la prolissa descrizione che ne porge il Vasari, stimiamo far cosa grata ai nostri leggitori offerendo loro il giudizio che di questo importante lavoro del Danti profferiva l'egregio geografo Marmocchi...."

Da Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti dominicani,  Vincenzo Marchese, ‎Le Monnier - 1854


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mercoledì 24 ottobre 2018

Piazza Padella e lo stemma della famiglia Pasquali





Firenze, via dei Rondinelli e via degli Agli

Lo stemma della famiglia Pasquali "d'azzurro, al cervo rampante d'argento, avente fra le zampe anteriori una stella a otto punte d'oro", tridimensionale, qui raffigurato, in quanto scolpito in pietra serena, posizionato sullo spigolo del palazzo che si trova tra via dei Rondinelli e via degli AgliI Pasquali, la cui presenza a Firenze è attestata nella prima metà del Trecento, vengono fatti risalire a Tommaso e Francesco figli di Pasquale. I mestieri esercitati tradizionalmente dai membri della famiglia Pasquali furono quelli di barbiere, cerusico e medico.
Il palazzo fa angolo con piazza degli Antinori e prosegue lungo via degli Agli. Nella sua attuale configurazione l'edificio fu definito sotto il granduca Cosimo I  (Firenze, 1519 – 1574) per Giovanni Pasquali, medico della famiglia Medici, inglobando o comunque occupando un'area dove erano già due antiche case proprietà degli Aldobrandini di Lippo, passate ai Venturi nel 1457, quindi ai Petrini nel 1541 e, grazie al matrimonio di Lucrezia Petrini con Giovanni Pasquali, a quest'ultima famiglia. (Repertorio delle architetture civili di Firenze).


L'antica Piazza Padella
Questa piazza, ora del tutto sparita e convertita in tanti chiassoli, quali sono quelli dietro il palazzo Pasquali nella via teatina che porta al giardino Orlandini, si estese un tempo per tutto lo spazio occupato dal convento dei Teatini, nel quale fu in gran parte occupata per volere di Ferdinando I [Firenze, 1549 – 1609]. - Il Vasari [Arezzo, 1511 – 1574] nomina questa piazza parlando, nella via di Lapo, dell'innovazione della chiesa di S. Michele e Gaetano - Il Migliore dice che la Repubblica avea decretato nel 1329 tenervi quivi un postribolo, ma quel decreto non ebbe effetto e fu di poca durata, perchè l'Ammirato scrive che nell'anno 1486 nelle nozze di Lorenzo Tornabuoni con Giovanna di Maso degli Albizzi, ballarono sulla piazza Padella cento delle prime Gentildonne di Firenze. - Al certo quella illustre famiglia, che qui prossime avea le case, non avrebbe prescelto questo luogo se fino allo stato fosse un pubblico postribolo.
Da "Il Fiorentino istruito nelle cose della sua patria - Calendario per l'anno 1847" - Cavagna Sangiuliani di Gualdana, Antonio, conte.


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venerdì 19 ottobre 2018

La statua dell'Abbondanza in Boboli






"... Fa centro il fonte ad un piano praticabile, intorno a cui come in teatrale recinto, vedonsi in acconcia maniera e simetrica, tenute dall' arte quattro ripide collinette vestite d'erbe e fiori campestri, e vario-coloriti licheni. Servono esse di margine a sei piani, che van parimente in giro a diverse altezze, tenuti in parte a guisa di prati naturali, in parte con variatissime specie d'alberi, e in parte a foggia di domestiche vigne. Lo stradone interrotto dal gran vivajo, che pur coincide colla linea centrale al Palazzo, prosegue dopo il descritto piano con tre spaziose scalinate, che accompagnando il pendìo delle collinette conducono ad altra men ripida pendice, che finisce col Giardino e colle Mura della Città. 

Ha termine la pendice ove si erge maestosa su gran piedestallo corintio la colossale statua dell'Abbondanza, facendo anche essa prospetto al gran Cortile de' Pitti, e campeggiando in uno spazioso gruppo di lecci, che quasi per metà la circondano a qualche distanza. Lo scultore Giov. Bologna  (Jean de Boulogne, Douai, 1529 – Firenze, 1608) la incominciò, ma cessato di vivere nel 16o8, e lasciatala imperfetta, fu terminata da Pietro Tacca  (Carrara 1577 – Firenze 1640) di lui scolare. Par che a tale effetto si valesse molto dell'opera di Sebastiano Salvini. 

Destinata in origine a rappresentare la Regina Giovanna d'Austria moglie del G. Duca Francesco I (Firenze, 1549 – 1609), e quindi per varie vicende mutato il progetto, con la giunta di alcuni attributi fu cambiala in una Abbondanza, ed in occasione delle nozze di Ferdinando II colla Principessa Vittoria della Rovere, fu inalzata nel 1636, dov' è presentemente, rammentandolo l'iscrizione del Piedestallo, che ancor palesa esservi stata posta in memoria della prosperità goduta dalla Toscana sotto il governo di Ferdinando II, mentre quasi tutta l'Europa era afflitta da miserie e   a guerra. 




Prendendo il cammino a sinistra si trovano coltivazioni amenissime di pomari, di vigne, di campi tenuti all'uso Toscano, che danno la vera idea della nostra maniera di coltivare. Le cortine della fortezza di Belvedere, alcune muraglie di confine a levante, e una gran porzione di bosco naturale, contornano i campi indicati. Risiede in mezzo ad essi, ed in eminenza a guisa delle nostre Ville di campagna, un galante Casino, che vien detto comunemente il Caffeaos: voce che vien dal tedesco, quasi dicesse la casa del Caffé [Kaffeehaus]. Vi è sottoposta una grotticella formata di massi irregolari, da' quali cade uno stillicidio d'acqua, che par veramente naturale d'un luogo umido...."

Da "Descrizione del Giardino Reale detto di Boboli - Francesco Maria Soldini - 1789 - Pagina 22  


Coordinate:  43°45'44.39"N,  11°15'9.14"E                     Mappe: Google - Bing


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