Guardando Firenze nei particolari da dietro l'obiettivo di una fotocamera.

lunedì 30 gennaio 2017

Due leoni neo-egiziani aggiunti




Firenze, piazza di San Pancrazio 

A poche centinaia di metri da Piazza Santa Trinita, alla confluenza di Via Federighi con Via della Spada, si trova l'ex Chiesa di San Pancrazio. Di fondazione forse paleocristiana, documentata dal 931, appartenne alle Benedettine, ai Domenicani e quindi ai Vallombrosani. Giovanni Rucellai commissionò a Leon Battista Alberti (Genova, 1404 – 1472) la ristrutturazione della cappella a fianco della chiesa, ultimata nel 1467, che conserva il tempietto del Santo Sepolcro, costruito dallo stesso Alberti e rivestito di marmi bicromi intarsiati, che riproducono la forma del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Nel 1754 la chiesa fu trasformata radicalmente e ulteriormente modificata dopo la soppressione napoleonica (1808), in linea con il gusto neoclassico: furono poste al centro della facciata, privata del portale trecentesco, le due colonne con ai lati due leoni in stile neo-egizio. Oggi è sede del Museo Marino Marini.



Nella Chiesa presence hanno gran parte, e più Cappelle, e Sepolture i Rucellai , e Federighí, che vi hanno ancora le Case loro vicine, ove ,è la loggia de’ Rucellai, e la Via detta de’Federighi ; fu consacrata questa Chiesa l’ anno 1485. a dì 28. di Agosto, come apparisce da una cartella, che dice, An. Dom. 1485. die XXVIII. Augusti, Ecclesia hec consecrata fuit a Renverendissimo D. Alexandro Efiscopo Cimbaliensi Innocentio  Abbate existente.
Sin quì il Rosselli, cui dobbiamo grado di sì bei lumi, sopra dei quali però mi si conceda di fare alcune annotazioni, e primieramente circa a i Padri Domenicani, che egli vuole dal Pian di Ripoli quà venuti nel 1216. forse fondatosi in un discorso della fondazione di S. Maria Novella, il quale è in molte cose mancante, onde noi crediamo, che piuttosto si abbia a dire venuti nella Spedale di S. Pancrazio, conciosiachè in tale tempo la detta Chiesa era di Monache Benedettine, le quali sono accennate da un Contratto, che riferisce il Senatore Carlo Strozzi al libro DD. pag. 130. ed è un terreno che dà a livello Soror Bentiguida Abbatissa Monafícrii Sancti Pancratii de Flor. 1157. ed il medesimo abbiamo riconosciuto da altra Scrittura nell' Archivio di S. Donato a Torri del 1210. la quale è una vendita di terre, che fa Alberto Giudice all’Abbadessa del Monastero di San Pancrazioo per rogitodi Ser Galizio Not. E trovansi nelle Memorie del P. D. Fedele Sopldani due altre Abbadesse, D. Bentinella nel 1218  e D. Cecilia nel 1223. e sio crede, che dette suore mancassero totalmente circa il 1230. e giousta le Scritture del Capitolo Fiorentino, ad esse furono assegnate  l' entrate, e da' Canonici su la Chiesa e Convento conceduto ai Monaci di Valombrosa nel 1234. o in quel torno. Mancate però queste Monache, e subenrrati i Valombrosani per la concessione predetta, ne viene da notarsi una vicenda , che cagionò notabili molestie ai Monaci per lo spazio di alcuni anni, e questa fu, che per Bolla di Papa Alessandro IV. anno primo sui Ponrif. si ordina , che in S. Pancrazio sieno trasferite le Monache di S. Ellero, ed incorporate a Valombrosa l’ entrate delle Monache , avvenimento riferito con autentici documenti nella Storia di Passignano scritta dal P. D. Fedele Soldani,

Da "Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne' suoi quartieri"  Di Giuseppe Richa, 1775



Coordinate:   43°46'18.83"N,  11°14'59.18"E                    Mappe: Google - Bing



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giovedì 26 gennaio 2017

Le fonticine di Bailamme, Potenza festeggiante




Firenze, Via Nazionale

Tabernacolo delle Fonticine, realizzato da Giovanni della Robbia [Firenze, 1469 – 1529/1530) ] nel 1522, fu così chiamato per la presenza di sette teste dì cherubino versanti acqua in una vasca marmorea. E' modellato in terracotta invetriata policroma e raffigura nella parte centrale la Madonna col Bambino fra i Santi Barbara, Luca, Jacopo e Caterina; altre teste di santo intercalano la cornice a festoni, mentre nell'estradosso sono il Padre Eterno con lo Spinto Santo ed angeli adoranti. L'opera scenografica fu commissionata dal "Reame di Biliemme" (o 'Bailamme'), una delle più importanti brigate rionali di popolo minuto, dette 'Potenze festeggianti', che si riunivano per esibirsi, fare festa, o affrontarsi in 'armeggerie' nelle varie ricorrenze cittadine.




Coordinate:   43°46'37.79"N,  11°15'7.34"E                    Mappe: Google - Bing



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lunedì 23 gennaio 2017

Il Sansone di Pierino da Vinci





Firenze, Palazzo Vecchio, Cortile di Michelozzo

Entrando nel Cortile di Michelozzo (di Bartolomeo, Firenze, 1396 – 1472) dal portone principale di Palazzo Vecchio da Piazza della Signoria, superato la fontana del Putto con delfino di Andrea del Verrocchio (Firenze, 1437 - 1488) per arrivare oltre il cortile alle scale che ci conducono alle sale superiori la più famosa delle quali è il Salone dei Cinquecento, ci imbattiamo in una statua racchiusa in una nicchia, sempre  un po' in ombra,  raffigurante Sansone e il Filisteo di Pierino da Vinci   (Vinci, 1530 circa – Pisa, 1553),.  Il nome farebbe ritenere che vi sia una parentela con il più noto Leonardo e in effetti è proprio così essendo stato egli suo nipote, figlio cioè di suo fratello minore Bartolomeo.  Pierino Si frequentò la bottega di Baccio Bandinelli (Firenze, 1488– Firenze, 1560), già amico dello zio Leonardo, ma soprattutto quella del Tribolo  (1500 circa – 7 settembre 1550) con cui lavorò assiduamente. Morì giovanissimo, nel pieno sviluppo della sua promettente carriera, a soli ventitré anni per una febbre malarica.

"Il nome del Vinci e la virtù era già grande ed ammirata da tutti, e molto più che a si giovane età non sarebbe richiesto, ed era per ampliare ancora e diventare maggiore e per adeguare ogni uomo nell'arte sua, come l'opere sue senza l'altrui testimonio fanno fede; quando il termine a lui prescritto dal cielo essendo d' appresso, interroppe ogni suo disegno, fece l'aumento suo veloce in un tratto cessare, e non pati che più avanti montasse, e privò il mondo di molta eccellenza d' arte e d' opere, delle quali, vivendo '1 Vinci, egli si sarebbe ornato. Avvenne in questo tempo, mentre che il Vinci all'altrui sepoltura era intento, non sapendo che la sua si preparava, che il duca ebbe a mandare per cose d'importanza Luca Martini a Genova; il quale si perchè amava il Vinci e per averlo in compagnia, e si ancora per dare a lui qualche diporto e sollazzo e fargli vedere Genova, andando lo menò seco.1 Dove, mentre che i negozj si trattavano dal Martini, per mezzo di lui messer Adamo Centurioni dette al Vinci a fare una Ggura di San Giovanni Batista, della quale egli fece il modello. Ma tosto venutagli la febbre, gli fu, per raddoppiare il male, insieme ancora tolto l'amico, forse per trovare via che 'I fato s' adempiesse nella vita del Vinci. Fu necessario a Luca per lo 'nteresse del negozio a lui commesso, che egli andasse a trovare il duca a Firenze; là onde partendosi dall'infermo amico, con molto dolore dell'uno e dell'altro, lo lasciò in casa l'abate Nero, e strettamente a lui lo raccomandò, benchè egli mal volentieri restasse in Genova. Ma il Vinci ogni di sentendosi peggiorare, si risolvè a levarsi di Genova; e fatto venire da Pisa un suo creato, chiamato Tiberio Cavalieri, si fece con l'aiuto di costui condurre a Livorno per acqua, e da Livorno a Pisa in ceste. Condotto in Pisa la sera a ventidua ore, essendo travagliato ed afflitto dal cammino e dal mare e dalla febbre, la notte mai non posò, e la seguente mattina in sul far del giorno passò all' altra vita, non avendo dell'età sua ancora passato i ventitrè anni."

Da "Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architetti" di Giorgio Vasari


Coordinate:   43°46'9.19"N,  11°15'22.66"E                    Mappe: Google - Bing



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giovedì 19 gennaio 2017

Nel periodo di decadenza



Firenze, Piazza della Repubblica

L'Arcone di Piazza della Repubblica si trova dove una volta, prima di Firenze Capitale, c'era il Mercato Vecchio e il Ghetto e dove ancor prima c'era il Foro Romano, il Campidoglio i cui materiali servirono per le costruzioni successive dei palazzi del XIII secolo. Probabilmente le pietre cavate e lavorate dai romani che fondarono a Firenze una colonia sono quelle che servirono per i palazzi e le fondamenta delle torri.  Parecchie fra le famiglie più illustri per nobiltà e altezza di lignaggio, più potenti per ricchezza di possessi o per importanza di mercatura, più autorevoli per numero di aderenze o per eccellenza di uomini, avevano palagi, torri, logge, coni, in questa località che formò il primo nucleo della città del XIII secolo. Talune di queste famiglie erano discese da Fiesole ab antiquo, altre, abbandonati i turriti e cupi manieri sparsi sulle vette de' monti del contado, s' erano condotte a Firenze per dividere cogli antichi abitatori e diritti e doveri.  
Da Fiesole vennero a costruire sugli spazi del vecchio Foro Romano e ad abitare gli Arrigucci padroni e difensori fin da' secoli più lontani del vescovado di Fiesole, i Filitieri che si dissero dipoi Catellini aggiungendo al cognome il nome del più importante dei loro castelli, Castiglione, che sorge alle pendici di Monte Morello. Dai gioghi del Casentino e della Romagna dov'ebbero signoria feudale, dove possedettero innumerevoli castelli, scesero gli Ubaldini ed alcune delle case loro eressero lì da S. Maria in Campidoglio accanto ai palagi sontuosi, alle torri dei Brunelleschi, antichissimi abitatori di Firenze e signori del castello della Petraja. Palagi di mirabile ricchezza, torri, case, logge, eressero le famiglie della celebre consorteria dei Bisdomini e particolarmente i Tosinghi e i Della Tosa. Anche dei Figlineldi appartenenti all' altra consorterìa de' Figiovanni e de' Ferrantini sorsero qui le solide case e con loro altre ne inalzarono, i Rodighieri, i Renovandi, i Pecori, i Della Pressa, i Medici, gli Ardimanni, i Boni, tutte famiglie potenti e di molta riputazione nei tempi della repubblica.
Lo splendore e la ricchezza non continuano lungamente ad aver sede in questo luogo, centro di famiglie nobili e fastose. Nel XIV secolo siamo già in piena decadenza. Molte case annesse ai palagi non servono più agli usi delle famiglie che di codesti palagi erano padrone, nè per abitazioni di servi e vengono appigionale; le antiche corti che si aprivano in mezzo alle abitazioni di ognuna di quelle famiglie e servivano a feste e a radunanze, divengono piazze con botteghe e banchi ; nei vicoli interni si stabiliscono delle osterie ed anche dei luoghi di male affare; le traccie dell'antico splendore si affievoliscono e scompaiono a poco alla volta. E le ragioni sono molte e facili a comprendersi. Le famiglie che avevano già una potenza quasi principesca si dividono, decadono, impoveriscono addirittura, nè possono più mantenere il fasto e la magnificenza primitiva; altre trovano che l'abitare una località sottoposta alle emanazioni poco grate del Mercato, prossimo troppo a luoghi chiassosi e sconci, non è la cosa più comoda e piacevole, sicché stabiliscono altrove la loro dimora.
Già ai primi del 1400 si rileva che qui abitavano soltanto alcuni dei Della Tosa assai decaduti dall' antica grandezza; altri dei Rrunelleschi ridotti in fortuna meno che modesta, alcuni dei Pecori e basta. Tutte le altre famiglie erano estinte, scomparse, trasferite altrove, per dar luogo ad una popolazione nuova di mercanti, di trecconi, di facchini del mercato, di pollaioli, di meretrici. Le osterie, i luoghi di male affare favorirono poi le riunioni di gente chiassosa, di vagabondi, di malanni che si trattenevano là notte e giorno a farne d'ogni colore. Aggiungasi che là facevano poi capo anche i soldati delle compagnie di ventura, quelli che seguivano i principi e gli ambasciatori di passaggio e in missone a Firenze, talché spesso e volentieri succedevano colà scene di violenza e di scandalo. 
Che gente abitasse colà e quali episodi vi si svolgessero, può mostrarlo la seguente denunzia testuale che Jacopo di Bernardo d' Alamanno De' Medici, uno dei poco fortunati possessori di case in questa località faceva nel 1498 e che trovasi registrata nel campione del gonfalone Drago S. Giovanni. I fatti ai quali si accenna in tale denunzia singolarissima per forma e per stile, si riferiscono all'epoca in cui trovavasi a Firenze coi suoi soldati francesi Carlo VIII.
Ecco il documento:
« Sustanzie.  
«Un albergo ad uso di meretrice e tre botteghe ad uso di meretrice chon una casetta sulla piazza del Frascato. Le quali case e botteghe si suolevano appigionare tutte chon detto Albergo e al presente poche non si trova senone ladri e ribaldi che le voglino torre a pigione e quando le togliessino se ne andrebbono chon Dio e cholle masserizie e cholla pigione come ano fatto molti altri ne tempi passati. Il presente si fà governare per un artefice e rendemi L. 36 al mese ne temporali buoni e utimamente i franciosi marsano lettiere, presano e imbolarono la più parte delle lenzuole. »
E' strano il documento, ma è efficacissimo per dare un idea della razza di abitatori e di frequentatori di questa località, la quale, come dirò dopo, si suoleva chiamare in gran parte il Frascato dal nome di una piazza e di una celebre osteria che qui si trovava.  
E non basta.
Il nome di Piazza del Postribolo col quale era indicata una piazzola interna, perché qui fu istituito il primo locale di questo genere, i luoghi destinati allo stesso uso esistenti nel Frascato e nel chiasso di Malacucina, i magazzini dei pollaioli situati in diversi vicoli interni, alcune scuole di ballare... d'infima specie, tre o quattro osterie, la contiguità col mercato ed un numero infinito di ricordi che si riscontrano negli archivi di varj magistrati preposti alla tranquillità ed alla morale pubblica, dipingono a colori ben distinti lo stato disgraziatissimo in cui la parte interna specialmente di quest' ampio quadrato era ridotta nel secolo XV. 
Si capisce quindi facilmente come mai delle storiche famiglie antiche abitatrici di questa località non restassero più nel secolo successivo che le memorie.
Su per giù, si può affermare che le condizioni in cui trovavasi allora il Frascato, chiamandolo così perché così era generalmente chiamato tutto quel ceppo dì case, non erano migliori di quelle in cui si trovava il Ghetto negli ultimi tempi, quando ne fu deliberato ed effettuato lo sgombero.

In corsivo estratti da "Il ghetto di Firenze e i suoi ricordi  illustrazione storica" di Guido Carocci edito nel 1886


Coordinate: 43°46'17.00"N, 11°15'12.72"E             Mappe: Google - Bing



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lunedì 16 gennaio 2017

Il Chiostro Grande

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Firenze, Santa Maria Novella

II Secondo Chiostro della chiesa di Santa Maria Novella o Chiostro Grande è così denominato per le straordinarie dimensioni dei suoi lati, costituiti da cinquantasei campate a tutto sesto. Fu costruito in un'epoca compresa tra il 1340 e il 1360 con il concorso di diverse eminenti famiglie fiorentine, i cui stemmi si osservano scolpiti sui pilastri del loggiato. Due secoli più tardi altre nobili famiglie contribuirono, assieme al granduca Cosimo I de' Medici, a decorarne tutte le pareti con un grandioso ciclo di affreschi, dipinto in massima parte tra il 1570 e il 1590 da oltre quindici pittori dell'Accademia fiorentina. Gli affreschi raffigurano le storie di san Domenico e di altri santi domenicani, scene della vita di Cristo e ritratti di illustri esponenti della comunità religiosa di Santa Maria Novella: le dimensioni, il programma iconografico e la chiarezza narrativa delle scene lo rendono uno dei cicli più rappresentativi della Controriforma.

Gli edifici che definiscono il perimetro del Chiostro, alterati nel corso dei secoli, risalgono prevalentemente ai primi decenni del Trecento. Quelli del lato meridionale accoglievano in origine l'Infermeria conventuale con l'annessa Spezieria, la cui attività è oggi perpetuata dalla celebre Officina farmaceutica, che ingloba anche la Cappella di San Niccolò fondata nel 1332 da Dardano Acciaioli. Lungo il lato orientale erano il vasto Refettorio e la contigua Cappella degli Ubriachi o dei Magi, ambienti oggi inclusi nel percorso museale; infine i lati occidentale, settentrionale e parte di quello orientale erano delimitati dai maestosi Dormitori dei frati.

Il dormitorio del lato settentrionale consente ancora di intuire il grado di magnificenza che caratterizzava in antico questi spazi. Il vano di andamento longitudinale è spartito da due sequenze di slanciati pilastri monolitici che sostengono volte a crociera e creano una suggestiva fuga prospettica. Le superfici murarie dovevano essere prevalentemente dipinte, come attestano i resti di pitture ancora oggi visibili su alcune porzioni delle pareti e sulla volta di una delle campate, decorata con scene cristologiche.

Al piano superiore dei lati occidentale e settentrionale del Chiostro Grande furono edificati, dal secondo decennio del Quattrocento, i cosiddetti appartamenti papali. Il primo nucleo fu predisposto per ricevere Martino V, accolto a Firenze nel 1419 di ritorno da Costanza, dove era stato eletto papa. Successivamente ampliati, gli appartamenti avrebbero ospitato i lavori del Concilio indetto da papa Eugenio IV, che sancì l'effimera riunificazione della Chiesa d'Oriente con quella d'Occidente (1439). La cosiddetta Sala Grande o Salone del Concilio, la cui originaria ubicazione è ancora oggi indicata da una targa epigrafica visibile dal Chiostro Grande, verrà concessa all'inizio del Cinquecento a Leonardo da Vinci per eseguire i cartoni preparatori della pittura con la Battaglia di Anghiari, destinata a decorare una parete del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio.

Il Salone del Concilio e gli appartamenti papali vennero smantellati quando nell'ala occidentale del Chiostro fu fondato il Monastero Nuovo o della Santissima Concezione, costruito dal 1563 per eseguire la volontà della duchessa Eleonora di Toledo, consorte di Cosimo I. Si è salvata soltanto la cosiddetta Cappella del Papa, ubicata sul lato settentrionale.

La Cappella era stata predisposta per la solenne entrata in Firenze di papa Leone X de' Medici, avvenuta il 30 novembre 1515. La decorazione fu affidata a Ridolfo del Ghirlandaio, a cui spetta la scena dell'Incoronazione della Vergine sul lato opposto alla porta. In seguito i lavori furono portati a termine da Jacopo Carucci detto il Pontormo, che realizzò sia le figure di putti sulla volta a botte, decorata a grottesche da Andrea di Cosimo Feltrini, sia la celeberrima lunetta con la Veronica sulla parete d'ingresso, uno dei brani più straordinari della pittura fiorentina del Cinquecento.



Coordinate:    43°46'30.31"N,  11°14'53.17"E                   Mappe: Google - Bing



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giovedì 12 gennaio 2017

Una volta in una strada

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Firenze, Volta della Vecchia

In Via del Parione, nelle vicinanze dell'entrata laterale della Chiesa di Santa Trinita, c'è una strada ombrosa il cui accesso avviene attraverso una volta massiccia in pietra e mattoni  con la classica orma a botte. Evidentemente la via prende il nome dalla volta, non via della volta ma semplicemente volta, Volta della Vecchia come si legge più in là in alto su una targa accanto ad un tabernacolo in prossimità di Via del Purgatorio. Il tabernacolo accoglie un'immagine in terracotta della Madonna col Bambinello la cui base, in pietra serena, si legge inciso un anno 1633 con le prime due cifre, 16, separate dalla terza e quarta, 33, da un'altra iscrizione, sopra " LI LIMOSINE", sotto "TEMPO DI FESTE".



A pochi passi da via del Purgatorio si apre un'altra via che ci riporta alla mente quanto vicine siano le cose della vita come quelle dell'oltre vita:  Via dell'Inferno. La prosecuzione di Volta Vecchia è Via del Limbo. Invece Via del Paradiso è da tutt'altra parte, giustamente, fuori dal centro storico fiorentino, peccaminoso (?).  

Coordinate:  43°46'13.80"N,  11°15'2.08"E                    Mappe: Google - Bing



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lunedì 9 gennaio 2017

Quei ritratti del chiostro



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Firenze, Santa Maria Novella, Chiostro Grande, ingresso Piazza della Stazione

Sul lato nord del Chiostro Grande di Santa Maria Novella c'è una porta che dà l'accesso a quello che una volta era il dormitorio dei frati Domenicani. La vediamo nella foto in alto. Ai lati vediamo due ritratti in affresco. A destra è raffigurato Fra Benedetto Ardinghelli, vescovo di Castellaneta dal 1378, deceduto nel 1383. Non sappiamo se Benedetto provenga da San Gimignano dove gli Ardinghelli avevano case, palazzi e torri o da  Firenze dove avevano case anche là dove poi è stato edificato Palazzo strozzi. Una cappella Ardinghelli si trova nella Chiesa di Santa Trinita e un'altra nella Chiesa dei Santi Michele e Gaetano.


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A sinistra vi è il ritratto che mi ha incuriosito di più. E' quello di Fra Jacopo Passavanti, fiorentino eruditissimo, nato nel 1302 che passò a miglior vita nel 1357. Noto per avere raccolto nello  Specchio della vera penitenzia  è l’esito della traduzione in veste trattatistica lo specchio ovvero di manuale divulgativo di agevole consultazione, le prediche sulla penitenza tenute nel corso di diversi anni e in specie di quelle della quaresima del 1354 (stile fiorentino) scritto tra il 1355 ca. e il 1357. Si ritiene sia sia entrato nell’Ordine domenicano, presso il convento fiorentino di S. Maria Novella, verso il 1317-18. Si sa che nel 1330 venne inviato a completare l’istruzione nello Studio generale domenicano di S. Giacomo a Parigi, nel 1340 lo vediamo predicatore a S. Maria Novella e nel 1343 quale predicatore generale. Nel 1348 fu incaricato dal consiglio di S. Maria Novella di scegliere tra i libri dei frati morti durante la peste quelli che giudicasse utili alla libreria di recente istituzione. Egli stesso contribuì al suo accrescimento con volumi suoi, come informano alcune note di possesso autografe pervenute. Fu preposto della fabbrica di S. Maria Novella probabilmente intervenne nei lavori conclusivi per il completamento della chiesa. Documenti del 1348 indicano che fece eseguire le pitture della cappella maggiore a spese dei Tornaquinci.


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Jacopo nacque a Firenze intorno al 1302 (o 1317), da Banco Passavanti da Firenze, del popolo San Pancrazio (gravitanti intorno alla Chiesa di San Pancrazio oggi Museo Marno Marini), e Francesca dei Tornaquinci, detta Cecca, figlia di Guardina di Rustichino. Qui l'albero genealogico di Jacopo secondo la Cronologia Remigiana.





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giovedì 5 gennaio 2017

... giardini e destinazioni pubbliche, invece ...

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Firenze, Lungarno Pecori Giraldi

Nel 1897 il nuovo complesso, oggi denominata Caserma Baldissera, iniziato ad essere eretto nel 1894 su progetto dell'Ing. e Capitano del Genio Militare Cecchi, ospitò l'8º Reggimento "Lancieri di Montebello" a cui seguirono il 5º Reggimento "Lancieri di Novara" e il 3° Savoia Cavalleria. Ma non era questa la destinazione del vasto spazio fuori le mura pensato a seguito delle ristrutturazioni di Giuseppe Poggi (Firenze, 1811 – Firenze, 1901) per Firenze Capitale del Regno d'Italia. Si voleva un grande parterre verde, con bagni pubblici, stabilimenti sportivi e ricreativi, come esistevano in altre città europee, da ospitarsi in un edificio posto dal lato del lungarno a fare da quinta scenografica al grande spazio a giardino. Prima della ristrutturazione, fino alla metà dell'Ottocento questa zona era occupata da mulini, filande e bagni pubblici, oltre agli edifici che ospitavano la Zecca Reale. 
Dalla sponda sinistra dell'Arno vediamo la linea trasversale, la Pescaia di San Niccolò, che unisce simbolicamente le due rive  in direzione della caserma con la Torre della Zecca in Piazza Adua residuo delle mura abbattute.


Particolare della zona dalla Pianta del Buonsignori, 1584-1594.


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lunedì 2 gennaio 2017

Buon 2017 a tutti dal Ponte Vecchio

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Firenze, Ponte Vecchio

Che sia un radioso 2014 come splendente e splendido è questo primo giorno dell'anno nuovo.


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